- 12 Aprile 2022
- Posted by: Giuliano Casale
- Categoria: Economics, Patrimonio
Una breve descrizione del fenomeno inflattivo e delle sue conseguenze
Nell’accezione economica del termine, che è quello di cui vorrei scrivere oggi, la definizione enciclopedica è : inflazióne s. f. [dal lat. inflatio -onis «enfiamento, gonfiatura», der. di inflare «gonfiare»; il significato economico è sorto negli Stati Uniti d’America (ingl. inflation) dopo la guerra di secessione (1861-1865)]. – In economia, aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi, o anche diminuzione prolungata del potere d’acquisto (cioè del valore) della moneta, le cui cause vengono in genere individuate in una crescita eccessivamente rapida della quantità di moneta in circolazione, in un eccesso di domanda globale determinato da altre cause, o in una pressione al rialzo dei costi (inflazione da costi, distinta dall’inflazione da domanda perché, a differenza di questa, è accompagnata da recessione produttiva e viene, pertanto, designata anche con i termini di stagflazione o inflazione recessiva); è un fenomeno complesso, che i governi cercano di contrastare e controllare, in quanto ha forti conseguenze negative sia sulla produzione e l’occupazione, sia sulla distribuzione del reddito tra i gruppi sociali. (Treccani)
Pur se apparentemente può sembrare un fenomeno relativamente recente, in realtà si riscontrano fenomeni inflattivi già dai primi documenti scoperti in età risalente addirittura all’antico Egitto, continuando a ripresentarsi ciclicamente fino ai nostri giorni, con cause ed effetti a volte completamente diversi.
Tra le cause più frequenti che provocano l’inflazione, sicuramente c’è l’aumento dell’offerta di moneta circolante superiore all’aumento della produzione di beni e servizi.
Altra causa è l’aumento della domanda di beni e servizi, spesso legata ad aumenti salariali o a fenomeni di piena occupazione, non seguita da un aumento dell’offerta relativa.
Ancora, l’aumento dei prezzi dei beni importati, i costi di produzione dei fattori produttivi o dei beni intermedi, in seguito all’aumento della domanda.
A ben vedere, l’inflazione potrebbe essere quindi considerato un fenomeno positivo, in quanto indicatore di una crescita della domanda con conseguente possibile riallineamento dell’offerta e relativa crescita del prodotto interno lordo. La condizione però è che la percentuale di inflazione sia contenuta in una media annua che oscilli tra il 2% ed il 4%
Oltre tali soglie si parla di Iper-Inflazione. È detta iper-inflazione, secondo una convenzione adottata da molti studiosi, l’incremento percentuale del livello dei prezzi superiore al 50% al mese: va distinta dalla svalutazione, che è la perdita di potere d’acquisto di una moneta in termini di altre monete, anche se i due fenomeni sono spesso collegati; un incremento dei prezzi tanto importante da raggiunge valori così elevati può indurre, infatti, a contrastare la perdita di potere d’acquisto mediante la sostituzione della moneta con valuta estera.
Dopo aver visto cosa è l’inflazione e l’iperinflazione, valutiamo quali possono essere gli effetti sui mercati finanziari e sull’economia.
- Un primo effetto dell’inflazione si ha sulla distribuzione della ricchezza, in particolare ne risentirebbero coloro che percepiscono dei redditi fissi come i lavoratori dipendenti e i pensionati, questo in quanto, mentre i prezzi dei beni aumentano continuamente, non hanno un immediato adeguamento dei salari nominali, soggetti come sappiamo alle decisioni sindacali sui rinnovi contrattuali, con la conseguenza di una riduzione dei salari reali nell’immediato.
Al contrario, coloro che percepiscono dei redditi variabili, come i professionisti, gli artigiani e i commercianti, andranno a variare i compensi richiesti per le loro prestazioni o i prezzi dei beni ceduti in modo da adeguarli al mutato potere di acquisto della moneta.
- Un secondo effetto dell’inflazione è legato ai risparmi. In previsione di un aumento dei prezzi futuri, ad esempio i prezzi delle case, i risparmiatori saranno invogliati ad acquistare beni, con conseguente riduzione della liquidità. Questo significa che aumenterà la richiesta di denaro ed i tassi di interesse saliranno all’aumentare della domanda, con conseguente perdita di potere di acquisto di quei risparmiatori che terranno il denaro sul conto corrente. Ad esempio se un titolare di un conto percepisce un interesse annuo dell’1%, mentre il tasso di inflazione è del 4%, egli avrà una perdita del potere di acquisto pari al 3% (4% – 1%)
Nel caso di un perdurare nel tempo di inflazione maggiore dei tassi attivi, il sistema creditizio, per evitare che il risparmiatore distragga i propri risparmi dalla banca verso beni rifugio, sarà costretta ad aumentare i tassi di interesse, con effetti negativi sulla produzione.
- Dal punto di vista del credito, nel caso di inflazione il potere di acquisto della moneta si riduce, quindi il debitore restituirà una somma di denaro, da un punto di vista nominale, uguale a quella ricevuta al momento in cui il debito è sorto, ma con un potere di acquisto inferiore. Quindi se tendenzialmente ci si aspetta un aumento dell’inflazione e ci si deve finanziare per acquistare un bene, converrà legarsi ad un tasso fisso. Al contrario, se i tassi tendono a scendere, converrà finanziarsi a tasso variabile.
- Vediamo infine gli effetti sulla produzione. Nel breve periodo le imprese possono beneficiare degli effetti inflazionistici, determinati dal differenziale tra prezzi di approvvigionamento delle materie ad una certa data, e dei prezzi di vendita dei prodotti finiti concluso il ciclo di produzione (valore aggiunto) rivalutati però del tasso di inflazione ( rendita inflazionistica o speculazione).
Una volta terminate le scorte, l’impresa dovrà acquistarne di nuove. Probabilmente dovrà fare ricorso al credito. Nel medio periodo quindi può invertirsi l’effetto benefico a causa dell’aumento dei tassi sul debito e dell’aumento delle materie prime.
Articolo pubblicato sulla rivista “La Bussola dell’innovazione“